Nec totam servitutem pati possunt nec totam libertatem

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La frase latina nec totam servitutem pati possunt nec totam libertatem significa: «[i Romani] non possono tollerare né una schiavitù completa né una libertà assoluta». È tratta dalle Historiae di Tacito, libro I, paragrafo 16, dove conclude il discorso rivolto dall'imperatore Galba a Pisone nel designarlo quale proprio successore. Il passaggio completo è il seguente:

(LA)

«Utilissimus idem ac brevissimus bonarum malarumque rerum dilectus est, cogitare quid aut volueris sub alio principe aut nolueris; neque enim hic, ut gentibus quae regnantur, certa dominorum domus et ceteri servi, sed imperaturus es hominibus qui, nec totam servitutem pati possunt nec totam libertatem.»

(IT)

«Il modo più semplice ed efficace di scegliere tra il bene e il male è pensare a ciò che avresti desiderato o meno sotto un altro principe. Perché da noi non accade come tra i popoli sottomessi a un re, dove una determinata famiglia è di padroni e gli altri sono degli schiavi, ma tu dovrai comandare uomini che non possono tollerare né una schiavitù completa né una libertà assoluta.»

Nella forma Nec totam Libertatem, nec totam servitutem pati possumus, la frase è ripresa da Vincenzo Cuoco nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 nel biasimare gli eccessi compiuti da Maximilien de Robespierre durante la Rivoluzione francese:

«L'uomo è di tale natura, che tutte le sue idee si cangiano, tutt'i suoi affetti, giunti all'estremo, s'indeboliscono e si estinguono: a forza di voler troppo esser libero, l'uomo si stanca dello stesso sentimento di libertà. «Nec totam Libertatem, nec totam servitutem pati possumus», disse Tacito del popolo romano: a me pare che si possa dire di tutt'i popoli della terra. Or che altro avea fatto Robespierre, spingendo all'estremo il senso della libertà, se non che accelerarne il cambiamento?[1]»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Bari, Laterza, 1913, p. 99.
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